Pena di maternità: cos’è e come possiamo combatterla?

È risaputo che avere dei figli costa, ma lo sapevi che la maternità abbatte il reddito di una donna per tutta la vita?
9' di lettura
Dopo essere state emarginate per secoli dalla sfera politica, finanziaria, artistica e molto altro, negli ultimi decenni le donne hanno fatto passi da gigante. Nonostante i progressi compiuti, tuttavia, la retribuzione femminile non riesce ancora a eguagliare la controparte maschile. I ricercatori hanno identificato un fattore chiave in questo divario: la maternità. Questo articolo approfondisce il concetto di quella che gli esperti chiamano la “pena di maternità”. Continua a leggere per scoprire che cos’è, perché esiste e cosa possiamo fare per eliminarla. 

Cos’è la pena di maternità? 

In parole semplici, la “motherhood penalty” o pena di maternità è la perdita di guadagno che colpisce le donne che hanno dei figli. Dagli studi emerge che una madre può vedere il proprio salario ridursi anche del 5% per ogni figlio rispetto alle donne senza figli. E questa è solo la punta dell’iceberg. Oggigiorno, gli uomini guadagnano più delle donne in tutti i paesi del mondo. Per effetto del cosiddetto divario retributivo di genere, le stime indicano che il guadagno medio delle donne a livello globale sia di 77 centesimi per ogni dollaro guadagnato dagli uomini. E, secondo gli studi, la pena di maternità rappresenta l’80% del divario retributivo di genere. Mettendo a confronto madri e padri, infatti, la genitorialità non sembra influire allo stesso modo sulla retribuzione degli uomini. Le ricerche evidenziano un calo costante e significativo dei livelli salariali delle donne dopo il primo figlio, mentre le entrate degli uomini mantengono una certa stabilità. Nel 2019, uno studio basato sul censimento degli Stati Uniti ha mostrato che le madri ricevevano appena 71 centesimi per ogni dollaro guadagnato dai padri, generando una perdita media di 16.000 dollari all’anno! Gli esperti concordano sul fatto che avere dei figli influisca negativamente sulla carriera e sul benessere finanziario delle donne. Uno studio del 2019 che ha messo a confronto le cosiddette “child penalties” in diversi paesi ha riscontrato che gli svantaggi maggiori si hanno in Germania, dove le madri guadagnano in media un incredibile 61% in meno rispetto a prima della maternità. E persino in Svezia (27%) e in Danimarca (21%), dove il divario è inferiore, queste cifre rappresentano comunque una perdita di reddito sbalorditiva, soprattutto se considerate nell’arco di una vita intera. 

Perché esiste la pena di maternità? 

Avere un figlio è un grande impegno, per usare un eufemismo. La gravidanza e il parto sono momenti di enorme fatica per il corpo e il recupero, sia fisico che mentale, può richiedere molto tempo. Per non parlare del fatto che i neonati e i bambini piccoli hanno bisogno di attenzioni costanti, che vengano allattati o meno. Tuttavia, in alcuni paesi o posti di lavoro le politiche parentali non sono particolarmente vantaggiose o non esistono affatto. Molte donne sono quindi costrette a prendere decisioni difficili quando si tratta di rientrare al lavoro, affidarsi a costosi servizi per l’infanzia o cercare di conciliare vita professionale e maternità. Quando si hanno più figli, soprattutto se di età vicine, ricominciare a lavorare può diventare una vera e propria sfida. E più a lungo una donna rimane a casa, anche con un’occupazione part-time, meno ottimistiche diventano le sue prospettive future e il suo potenziale di reddito. Ecco perché il divario retributivo di genere si amplia quando le donne entrano negli anni in cui una gravidanza è più probabile. Politiche come il congedo parentale retribuito per entrambi i genitori possono essere di aiuto, ma di fatto la disparità degli stipendi tra uomini e donne permane anche nei paesi che mettono in campo tali iniziative. Può darsi che ciò sia dovuto alle pressioni esercitate sulle donne affinché trascorrano tempo con i figli dopo la nascita o alla loro scelta di rimanere a casa nei primi anni di vita dei bambini. Anche in paesi come la Danimarca, in cui i neogenitori possono beneficiare di generosi congedi retribuiti, molti uomini continuano a non usufruire del congedo di paternità. È colpa di stereotipi di genere obsoleti o si tratta di una scelta pratica? Dopo tutto, le donne hanno a che fare con un mercato del lavoro che le retribuisce il 20% in meno circa rispetto ai partner uomini. Di conseguenza, in molte famiglie la scelta di usufruire del congedo pagato dallo stato ricade soprattutto sulle madri per motivi (almeno in parte) economici. È interessante notare che la pena di maternità colpisce anche le coppie di donne omosessuali, seppure non nella stessa misura per entrambe le partner. Una ricerca condotta in Norvegia rivela che, anche nelle coppie dello stesso sesso, la donna che assume un ruolo più importante nella crescita dei figli subisce un maggiore impatto negativo sulle proprie finanze. Chi partorisce assiste a un calo del proprio reddito del 13% contro il 5% della partner. Lo studio non ha riscontrato alcun impatto per le coppie di uomini e non sono stati inclusi dati sulle coppie non binarie. 

L’effetto devastante della pandemia da COVID-19 sulle madri

Nel 2020, con lo scoppio della pandemia da COVID-19, si stima che due milioni di madri abbiano lasciato il proprio lavoro. Un dramma di questa portata non può essere sottovalutato. L’economista Michael Madowitz ha dichiarato alla giornalista del New York Times Jessica Grosse: “Poco prima della pandemia, per la prima volta nella storia, il numero delle donne attive nel mondo del lavoro ha superato per un paio di mesi quello degli uomini. Oggi la forza lavoro femminile è tornata ai livelli di fine anni ‘80”. Questa situazione non soltanto comporta una minore diversificazione della forza lavoro, ma può avere ripercussioni devastanti sul futuro professionale e finanziario di moltissime donne. La perdita di un periodo di lavoro può rivelarsi dannosa per le donne e portare addirittura a una situazione di povertà in età avanzata. Inoltre, è dimostrato che le donne che non godono di indipendenza economica e finanziaria sono più propense a rimanere imprigionate in matrimoni infelici o persino in situazioni di violenza.E non finisce qui. Gran parte delle ricerche indica che la perdita del posto di lavoro nel periodo della pandemia ha colpito molte più donne che uomini, e questo in tutto il mondo. A marzo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite ha stimato che la partecipazione al mercato del lavoro tra il 2019 e il 2020 abbia subito un calo dell’1,8% tra le madri con bambini piccoli, ma solo dell’1% tra gli uomini. Una tendenza che colpisce in particolar modo le donne di colore. Un fattore che senza dubbio alimenta questa condizione è il fatto che siano le donne a farsi carico della cura dei figli quando scuole e asili sono chiusi. Stando a questi dati, le prospettive finanziarie delle donne sono tutt’altro che rosee. Secondo il Global Gender Gap report, dopo il COVID-19 il tempo stimato per colmare il divario di genere a livello globale è aumentato di una generazione, passando da 99,5 a 135,6 anni. Ciò significa che, se la tendenza attuale continua, ci vorranno più di 135 anni per raggiungere la parità retributiva tra uomini e donne. 

Il divario nella cura della famiglia

In un’intervista del 2020, Francesca Donner, consulente senior per le questioni di genere del segretario generale delle Nazioni Unite, ha affermato: “La nostra economia formale è possibile solo perché è sovvenzionata dal lavoro non retribuito delle donne. Sopra le nostre case è stata costruita un’enorme scatola nera e tutto ciò che accade al suo interno ha un valore pari a zero”. Secondo il Gender Gap Report 2022 del Forum economico mondiale, gli uomini dedicano un terzo del tempo al lavoro non pagato rispetto alle donne. Ciò include la cura dei figli, l’assistenza agli anziani, la cucina, le pulizie, le attività domestiche, le bollette e tutto il lavoro essenziale per la gestione della casa e la cura della famiglia, aspetti comuni a tutte le culture e società. Ipsos ha svolto una ricerca per UN Women in 16 paesi, dalla quale è emerso che durante la pandemia le donne hanno dedicato ogni settimana 31 ore alla cura dei figli, rispetto alle 26 ore prima della pandemia. Gli uomini, invece, hanno riferito di aver dedicato quattro ore in più ai propri figli, passando da 20 a 24 ore. Nel 2014 il Centro di Sviluppo dell’OCSE ha dichiarato che il lavoro non pagato legato alla cura della famiglia è il “nesso mancante” nella comprensione del divario retributivo di genere. Ma non è soltanto il lavoro domestico non pagato ad alimentare il gap nella cura della famiglia. Le donne, in particolare quelle di colore, sono più propense a lavorare nel settore assistenziale, come l’assistenza all’infanzia o agli anziani. Pur essendo molto faticose dal punto di vista fisico ed emotivo, queste professioni spesso non ricevono il dovuto riconoscimento. Sebbene svolgano mansioni essenziali, queste lavoratrici pagano talvolta un prezzo personale molto alto: paghe basse, orari di lavoro lunghi e possibilità di crescita professionale limitate, sia in termini sociali che economici.

Qual è la posta in gioco quando la maternità viene penalizzata?

La pena di maternità colpisce in primo luogo le madri, in termini di indipendenza economica, salute mentale e non solo, ma ha un impatto negativo anche sul resto della società. La diversità nel mondo del lavoro rappresenta un bene per i processi decisionali, l’umore del team e persino per i profitti delle aziende. Per i bambini le cui madri scelgono di lavorare è positivo vederle svolgere il proprio ruolo alla pari nel mondo del lavoro. E nelle donne che non sono ancora madri, la pena di maternità può insinuare la convinzione di poter avere dei figli o una carriera, ma non entrambi.   

Cosa si può fare contro la pena di maternità? 

È qui che arriva la nota positiva. Sono innumerevoli le cose che si possono fare affinché le madri conquistino la parità economica. Esistono i sussidi universali per l’infanzia, il congedo parentale retribuito per entrambi i genitori (e il congedo obbligatorio per i padri), i crediti fiscali e i contributi statali mensili per i figli, gli sconti garantiti sulla pensione per le madri che lasciano il lavoro per i figli, solo per citarne alcuni. Anche le aziende devono adeguarsi, concedendo salari più equi e agevolazioni come il lavoro flessibile o da remoto, ferie extra retribuite, asili aziendali e sicurezza sul lavoro durante e dopo il congedo parentale. E per concludere, le madri hanno bisogno di alleati in casa. Affrontare la pena di maternità è una responsabilità condivisa da tutti noi, indipendentemente dal genere. Come ha detto Gloria Steinham: “Le donne non diventeranno mai uguali agli uomini fuori casa finché gli uomini non saranno uguali alle donne in casa”.   Proprio come ogni altra forma di discriminazione, il divario retributivo di genere e la pena di maternità sono una questione di potere e di chi ne è ritenuto degno dalla società. La buona notizia è che, con la giusta dose di forza di volontà e spirito d’iniziativa, possiamo costruire un mondo più equo, per noi e per i nostri figli. 

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DI ALISON RHOADESScrittrice Collaboratrice di N26

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